(copio e incollo l'intervista che si trova QUI.)
Di viaggi e fotografia: intervista a 4 mani a Enikő Lőrinczi
Se non ci fosse la rete… chi l’avrebbe mai incontrata questa donna bellissima?
Si chiama Enikő Lőrinczi, è nata in Ungheria e vive in Abruzzo. E’ una splendida mamma e bravissima fotografa.
Si chiama Enikő Lőrinczi, è nata in Ungheria e vive in Abruzzo. E’ una splendida mamma e bravissima fotografa.
Ieri, con Ernesto, leggiamo che Venerdì 12 aprile (alle 18,30, all’Officina del centro storico di Giulianova, in Abruzzo) c’è l’inaugurazione della sua mostra fotografica: Albe.ri.
Da lì a decidere di intervistarla a 4 mani… va da sè.
Da lì a decidere di intervistarla a 4 mani… va da sè.
Inizia l’intervista la Signora
Trippando. Mentre Ernesto fa un pò il disturbatore: con il pretesto di
voler mettere a suo agio Enikő, la fa chiacchierare del più e del meno.
Si ride.
Silvia: Enikő, ci racconti qualcosa di te? Sei ungherese ma vivi in Abruzzo. Cosa ti ha spinto fino qua?
Enikő: E’ una storia lunga. Quando vivevo
in Germania dove insegnavo danze popolari, ormai 18 anni fa, ho
accompagnato i miei ragazzi a un festival internazionale di folklore, l’Europeade, dove ho incontrato un gruppo abruzzese, Li Sandandonijre.
Allora non sapevo che quest’incontro si sarebbe rivelato fatale… Tu
pensa, in un festival con più di 5000 partecipanti è capitato di
incrociare quella “banda di mitt” varie volte in 4 giorni, addirittura
di suonare e ballare sullo stesso palco. Si, era proprio destino, ne
sono convinta. Da lì è nata un’amicizia prima col gruppo, poi l’amore
con uno dei componenti. In seguito ho deciso di trasferirmi in Italia e
continuare i miei studi all’Università di Firenze dove studiava quello
che sarebbe poi diventato mio marito. Dopo aver messo su famiglia e
messo al mondo due creaturine, abbiamo deciso di lasciare Firenze e di
trasferirci in campagna. L’Abruzzo era perfetto: per la famiglia di mio
marito, le sue radici e la bellezza di questo posto. Da 6 anni viviamo
qui e ormai considero questa terra casa mia. Volevi una risposta
sintetica alla tua domanda? Cosa mi ha spinto fin qui? L’amore.
Silvia: Che bella storia d’amore e d’Europa! E adesso, cosa fai in Abruzzo, oltre a splendide fotografie?
Enikő: Prima di tutto faccio la mamma a
due splendidi rospi. Per quanto riguarda la mia vita lavorativa è tutto
incerto, è tutto in continua metamorfosi. Sono un’insegnante precaria
quindi tutto dipende dai corsi che tengo, dalle supplenze che mi
affidano. Ultimamente mi sto preparando per intraprendere anche la carriera da fotografa che è sempre stata la mia passione per eccellenza insieme a quella per i viaggi. Vorrei seguire fondamentalmente due rami: quello artistico e quello applicato alla ritrattistica – mi piacerebbe specializzarmi nei ritratti di bambini – un mondo magico a sé.
A questo punto Ernesto torna a fare
il “disturbatore, ma questo ci serve per conoscere meglio Enikő e per
apprendere due cose su di lei che anche suo marito si chiama Ernesto (i
casi!) e che lei canta in due cori polifonici (quando si dice l’arte!).
Ma andiamo avanti…
Silvia: Ti piace viaggiare: quali sono le tue mete preferite?
Ernesto: Venendo al tuo ultimo lavoro, oggetto della mostra che inaugurerai dopodomani: perché gli alberi e perché in inverno?
Enikő: Con questa domanda m’inviti a
nozze! Viaggiare è stato per me un amore incondizionato da sempre – da
quando ero bambina e giravo con i miei genitori (al mare, in montagna,
con il camper, in tenda, come capitava), da quando, da maggiorenne, ho
iniziato a girare l’Europa con lo zaino in spalla (in autostop, con
l’Eurail), poi da “grande” con più disponibilità economiche e sempre
maggiore voglia di esplorare, di spingermi oltre, di conoscere terre,
culture lontane. Ho girato, anche se in maniera limitata e circoscritta,
un po’ mezzo mondo. Tranne l’Australia, ho visto un pezzo di ogni altro
continente. Continente preferito: l’Asia (adoro l’India).
Sogno nel cassetto? Fare un reportage fotografico lungo la
Transiberiana: 9000 km in un mese, da Mosca a Pechino attraverso la
Siberia, la Mongolia… un sogno!
A questo punto anche la Signora Trippando inizia a divagare: la Transiberiana?! Qui c’è un sogno in comune…
Silvia: vengo anch’io!!! te fotografi e io scrivo, ok??
Eniko: benissimo! tanto non sono molto brava a scrivere!
Torniamo serie…
Silvia: Com’è cambiato il tuo modo di viaggiare da quando sei diventata mamma?
Enikő: Com’è cambiato? Direi
drasticamente. Si sono creati una serie di impedimenti per poter pensare
‘in grande’. Non posso più pensare di affrontare l’Himalaya o l’Africa
nera con dei nanetti a seguito. Non perché sono iperprotettiva (ma forse
un po’ sì), non perché le esperienze vissute non sarebbero una buona
scuola di vita per loro, ma penso che trascinarli in luoghi dove andrei
d’istinto ma che presentano un qualsiasi pericolo per i bambini sarebbe
puro egoismo. Per non parlare dell’aspetto economico. Quindi solo mete “tranquille”,
esclusivamente europee, non troppo ambiziose, a misura di bambino.
Fortunatamente siamo fuori dal tunnel dei pannolini, mal d’auto,
capricci vari, ecc. quindi riusciamo a viaggiare in maniera più o meno
civile e rilassata. E avendo due figli con una curiosità implacabile e
la passione per tutto ciò che è arte e storia, riusciamo a visitare
musei, castelli, gallerie e divertirci pure! Ovviamente, appena avranno
un’età adatta ripartiremo per mete più esotiche.
Prende la parola Ernesto. La Signora Trippando, nel frattempo, è crollata dal sonno.
Ernesto: Quando ti sei accorta che riuscivi a comunicare le tue sensazioni attraverso le fotografie?
Enikő: Quando avevo 19 anni e mi sono
comprata la mia prima reflex ne ho avuto sentore ma solo pochi anni fa
ne sono diventata cosciente. Dopo aver speso anni sui libri a studiare e
analizzare parole (ho frequentato la Facoltà di Lettere) ho capito che il mio mezzo prediletto è l’immagine.
Mi ci muovo con disinvoltura, la mia intuizione è più acuta quando devo
sintetizzare o interpretare fatti o dettagli della realtà
fotografandola. Mi piace pensare alla fotografia non come un mezzo per
riprodurre la realtà ma come una sua rappresentazione soggettiva.
La fotografia, per quanto ci si sforzi, non riproduce mai in maniera
precisa e oggettiva la realtà nemmeno quando la si usa nel modo più
diretto e puro possibile, ma c’è sempre un’interpretazione, un giudizio a
monte e questo corrisponde all’occhio e alla mente del fotografo. Mi
piace avere questo esclusivo binocolo sul mondo, ci vedo più chiaro,
noto più dettagli e connessioni più ampie quando sono dietro una
macchina fotografica. Lo dico sempre scherzando: è il mio terzo occhio…
Ernesto: Qual è il tema che ti soddisfa di più e quello che sogni di analizzare?
Enikő: Il tema principale della mia “ricerca” è la bellezza:
delle cose, delle non-cose (atmosfere, sensazioni, astrazioni), delle
persone. Sebbene non sia una persona pignola – anzi! – quando fotografo
sono attratta dai dettagli:
mi piace catturarli (una crepa sul muro, un filo d’erba, una linea
architettonica particolare), decontestualizzarli e dar loro una vita
autonoma. Mi piace trasformare il concreto in astratto, dare la
possibilità di reinterpretarlo, ridargli una nuova vita e stimolare
l’immaginazione di chi lo guarda.
Poi ci sono i giochi d’ombra. Li adoro! Come le ombre cinesi che stimolano la curiosità e l’immaginazione o semplicemente generano bellezza. L’altro argomento inesauribile è l’umanità. Poi la natura, i paesaggi, la quotidianità… tanti sono i temi che catturano la mia curiosità.
Poi ci sono i giochi d’ombra. Li adoro! Come le ombre cinesi che stimolano la curiosità e l’immaginazione o semplicemente generano bellezza. L’altro argomento inesauribile è l’umanità. Poi la natura, i paesaggi, la quotidianità… tanti sono i temi che catturano la mia curiosità.
Ernesto: Venendo al tuo ultimo lavoro, oggetto della mostra che inaugurerai dopodomani: perché gli alberi e perché in inverno?
Enikő: Ho sempre amato la natura e gli alberi in particolare modo.
Sono cresciuta passando estati intere dai miei nonni in campagna e
arrampicarmi sugli alberi o passare ore appollaiata su un ramo preferito
mi era tanto naturale quanto camminare. Ultimamente ho cominciato a
vederli con un occhio diverso, a valutare non solo il loro essere
concreto ma anche la loro valenza simbolica. Prova a vedere un albero
come metafora: le sue radici che si attaccano con determinazione e
solidità al terreno, la robustezza o la grazia del sul tronco, i suoi
rami che si protendono verso il cielo e verso il sole, la corteccia che è
la sua pelle, le foglie che nascono, crescono, cambiano colore, muoiono
poi rinascono sempre. E’ affascinante, non è vero? Mi piace vedere gli
alberi come persone e, viceversa, le persone come alberi.
Perché d’inverno? Perché allora sono “nudi” e niente nasconde la loro essenziale forma. Perché sono in attesa, sono dormienti, si colgono nel loro più intimo essere.
Perché d’inverno? Perché allora sono “nudi” e niente nasconde la loro essenziale forma. Perché sono in attesa, sono dormienti, si colgono nel loro più intimo essere.
Una grande donna, mamma, viaggiatrice, fotografa… ci piace Enikő!
4 commenti:
stavo legegndo l'intervista, divertente e sul destino, avrei 2 cose da dire anche io. E se tu volessi conoscere un pezzo d'Africa, vi apriamo la nostra umile casa, e non lo dico per modestia, ma l'ambiente è sicuro perchè ormai qui ci conoscono in tanti
Oh cara Mariaclaudia, sarebbe bellissimo! Grazie tante per l'invito. Non so se mai ci arriverò ma ho apprezzato, e molto, il tuo pensiero... :)
sei bravissima e più leggo il tuo blog più mi piace ciò che fai....chi sente gli alberi, chi vede il loro spirito ha una bella anima..io ti immagino così,
peccato io viva tra le alpi perchè mi sarebbe piaciuto venire a vedere la tua mostra.....
ma se passi dalle mie parti a fotografare abeti e betulle (le mie preferite)fai un fischio
Grazie, cara neveverde! Chissà se, prima o poi, ricapito dalle tue parti e fotografare i vostri alberi... :)
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