Inizierò con pochi semplici gesti cercando di ricreare una certa familiarità e regolarità raccontando piccoli accadimenti o non accadimenti con i mezzi con cui mi esprimo meglio, cioè per immagini. Un diario, o quasi.
Oggi: sole, spiaggia, bimbi, un libro ritrovato in cantina e letto 14 anni fa.
Sarà un caso o è il mio subconscio che gioca con me ma anche il romanzo di Banana Yoshimoto, riletto oggi sulla spiaggia, inizia con un giardino, elevato quasi a ruolo di personaggio. Ecco l'incipit:
IL GIARDINO DI MANAKA.
Sin
da piccola ho sempre amato il giardino di casa mia. Non era
particolarmente grande, ma in rapporto alle dimensTRAioni della casa
ricopriva una superficie abbastanza ampia.
Mia
madre era appassionata di giardinaggio, così c’erano svariate piante
dai frutti commestibili, pietre ornamentali disposte in forme
complicate, e alberi che davano fiori in ogni stagione. Perciò il
giardino aveva diverse facce.
E
in quel piccolo mondo c’erano molti posti dove potevo sentirmi a mio
agio. Il giardino mi era molto caro, e da bambina mi sedevo o mi
stendevo direttamente per terra con tutti i vestiti.
Poi,
diventata grande, quando avevo il tempo di sedermi in giardino, portavo
sempre con me una stuoia da mettere sotto e qualcosa da bere.
Stai lì senza fare niente eppure non ti annoi, si stupivano mia
madre, mio padre e Hiroshi, e io davvero non mi annoiavo: guardavo il
cielo così vasto, poi il muschio e le formiche ai miei piedi, e quando
tornavo di nuovo a guardare il cielo, il suo colore e la posizione delle
nuvole erano cambiati. Osservavo per un po’ queste impercettibili
trasformazioni del mondo, poi guardavo la luce che colpiva la mia mano, e
in questo modo il tempo passava a una velocità impressionante.
A
forza di guardare nel corso degli anni sempre lo stesso paesaggio, ogni
tanto quando ero lì mi capitava di non sapere più che età avevo. Seduta
con la schiena appoggiata a una roccia, alzavo lo sguardo verso il
cielo, i grandi rami e le foglie, e poi lo posavo sulle formiche, i
ciottoli, la terra. Così facendo finivo col perdere anche il senso delle
mie dimensioni fisiche, e questo mi dava una grande felicità. A volte,
quando mia madre tornava dalla spesa e mio padre rientrava dal lavoro
prima del solito, mi trovavano in giardino. I miei genitori sapevano per
esperienza che quando il tempo era bello non mi piaceva stare in
camera. Nelle belle giornate ero già una parte del giardino. Entrando
dal cancello, mi salutavano senza nessuna sorpresa.
A
volte veniva anche Hiroshi. Ma lui non entrava mai dal cancello.
Scavalcava la palizzata di bambù. Siccome non ci vedeva molto bene, mi
guardava sempre con un’espressione incerta, socchiudendo gli occhi per
essere sicuro che fossi io. Sorridevo. Anche lui sorrideva. Tutta la
nostra storia, da quando ci eravamo incontrati la prima volta,
dall’infanzia fino all’età adulta, è scritta in quel sorriso. Quando si
fa la stessa cosa per molto tempo, si crea una strana profondità. I
nostri sorrisi ne sono un perfetto esempio. In un attimo siamo
attraversati da una comunicazione così profonda che è impossibile
immaginare qualcosa di più nuovo e più bello.
Quando
questo accade, mi sembra davvero di trovarmi in un luogo senza pareti e
senza soffitto. Noi, abbandonati da tutto, incluso lo scorrere del
tempo, soli al mondo, ci guardiamo negli occhi. Mi sembra di sentire una
musica, di aspirare il fresco odore dell’erba. Solo i sensi, solo i
nostri spiriti, in questo mondo senza pareti, sotto questo cielo
immenso, si confrontano. Senza età, senza distinzione di sesso, con una
sensazione di solitudine, ma di grande spazio.
Quando,
dovunque io sia, vengo presa dall’inquietudine, nel mio spirito ritorno
al giardino. Il giardino è il punto dal quale sono partite le mie
sensazioni, lo spazio, eternamente immutabile, dove trovo la misura
delle cose.
3 commenti:
Bentornata,grazie per avermi fatto ricordare Banana Yoshimoto mi piaceva tanto. Penso che rispolvererò qualche suo libro. Buona settimana
bentornata!! so esattamente come ti senti...! ;)
Bentornata!!!! Su
Posta un commento