mercoledì 31 marzo 2010

Capitolo primo,

in cui, dopo un piccolo excursus in ospedale, la protagonista scopre che anche le saggezze da quattro soldi che si leggono sulle bustine di zucchero al bar possono dare forza e sollievo.


Condividerò giusto due riflessioni, non proprio allegre, non molto primaverili ma a pensarci bene forse un pò si.
La settimana scorsa non c'ero nè nella mia casa virtuale nè in quella reale. Un bel giorno mi svegliai con dei giramenti di testa che, col passare delle ore, divennero degli giramenti anche di qualcos'altro, delle fastidiose vertigini che non cessavano mai. Due giorni dopo andai da un dottore per dei consigli e poco dopo fui in'ospedale per accertare il motivo di questi capogiri. Finii in neurologia, con la promessa di doverci rimanere solo 2-3 giorni, il tempo di fare alcuni esami. Ma i giorni passavano in questa specie di limbo, nè fuori nè dentro, sospesa nel tempo, segregata con dei malati seri, alcuni di loro senza alcuna speranza di recupero. Non ho mai frequentato ospedali e non ho mai pensato che luoghi assurdi fossero, dove l'alienzione e i sentimenti di qualsiasi tipo vengono amplificati a dismisura, si perdono le coordinate (fisiche, temporali e mentali) originarie e di conseguenza vedi, senti quello che in normali situazioni non ti sfiorerebbe nemmeno. A volte avevo quasi l'impressione di essere capitata in un romanzo di Kafka, altre volte mi sentivo il viandante de Il castello dei destini incrociati che attraversando una foresta arriva in un castello dove gli ospiti all'improvviso perdono la capacità di parlare ma che continuano a comunicare in altri modi perchè la voglia, la necessità di raccontarsi sono fortissime. Storie e destini si incrociano e racconto dopo racconto, immagine dopo immagine una storia individuale ma allo stesso tempo collettiva prende forma, una storia in una continua metamorfosi. Ad un certo punto ho pensato che ogni scrittore che intende scrivere un libro veramente intenso deve farsi venire un male preferibilmante curabile e farsi una gavetta di qualche settimana in un ospedale pubblico (lo so, non è molto etico farsi venire l'ispirazione sulle spese del sistema sanitario nazionale ma è pur sempre una soluzione e poi, povero cocco, dove va a scovare le emozioni forti nel mondo d'oggi? :).
Bene, arrivati a questo punto anche quei quattro gatti che sono stati coraggiosi e hanno affrontato questi argomenti così poco allegri, perdipiù scritti così malamente, in una bella e frizzante giornata di primavera come oggi, hanno già abbandonato questo post, così mi farò due discorsi tra me e me. A che serve un blog se non a questo?
Diciamo che la sensazione di trovarmi sulla crocevia di destini diversi e perlopiù tristi e disperati è quella che mi assaliva tutti giorni. E io ero lì, parte di questo soffrire e sperare collettivo, a tutte le ore della mia permanenza. La signora settantenne accanto a me, forte, generosa e con uno spirito ironico, per un embolo diventa quasi un vegetale, ma un vegetale sofferente che si lamenta, si dimena e vede pesci dappertutto. S'immagina la pioggia dentro la stanza, una specie di diluvio universale che inghiotte lentamente la nostra stanza, di notte vede la luce e di giorno s'immagina il buio. E la sua famiglia, famigliari di secondo o addirittura di terzo grado, al suo cappezzale, sinceramente rattristiti e speranzosi, la nipote ventenne che rimane sul corridoio e piange, la cognata che la assiste giorno e notte con tanta dedizione e che scoppia in lacrime ogni volta che la malata ha una crisi respiratoria che le potrebbe costare le vita. Vedo il suo attaccamento a questo straccio di vita, ai ricordi, a quello che questa donna era e che, forse, non sarà mai più. Io vedo solo una vecchia sdentata, che dipende totalmente dal senso del dovere del personale ospedaliero e della dedizione amorevole della sua famiglia, che riceve ma non dà e la sua condizione così poco dignitosa e così grottesca nella sua forte fisicità (fatta di pannolini, odori, rumori corporali) e mi fa riflettere seriamente sull'eutanasia. Divento cinica come non lo sono mai stata.
Poi c'è la ragaza ventenne dal viso angelico ma triste che passa le sue albe pulendo stanze d'ospedale e mentre sposta ciabatte, pulisce, disinfetta sente il bisogno di confidarsi con noi, perfetti sconosciuti e parlare del suo dolore. della perdita del suo figlio neonato, la sua disperazione profonda, il senso di dovere e la determinazione di andare avanti ad ogni costo.
Poi c'è la figura ombrosa e taciturna del primario che è nel reparto giorno e notte perchè la sua figlia adolescente è ricoverata proprio lì - che scherzo crudele del destino! E' lì come medico e come padre e il suo fardello è visibilmente pesante.
Poi c'è la bambina, all'incirca dell'età di mia figlia, incosciente e con gravi problemi neurologici. Potrebbe essere mia figlia. Ma non lo è. E il dolore della madre non è il mio dolore - anche se, per empatia, lo sento un pò anche mio.
E quando le sensazioni diventano insopportabilmente forti, esco dal reparto, scappo giù al bar dell'ospedale, in quella specie di zona franca per respirare un'aria un po' più leggera e con il caffè mi arriva la saggezza della bustina dello zucchero: Sii felice per quello che hai e non triste per quello che non hai. Niente di più semplice e di più banale. E allora mi sento veramente grata per quello che ho. E, viste le circostanze, anche per quello che non ho (avendo appena escluso patalogie come tumori al cervello e malattie degenerative).
Devo imparare a tenere separato il superfluo dall'essenziale.
Di sentire compassione, non quella cristiana, ma quella umana.

E sapete cosa? Alla fine le condizioni della mia compagna di stanza sono miracolosamente migliorate e quando ci siamo salutate le volevo profondamente bene. Condannatemi pure per buonismo, è capitato così.


[qualche scatto con la mia macchinetta tascabile; diciamo che sono riuscita a lavorare un po' sul libro che sto traducendo e ho imparato a fare la rosa d'irlanda con quel bel cotone egiziano comprato insieme a Roberta]
[ps. alla fine, dopo quasi una settimana di 'vacanza' sono uscita anche contro il parere del medico, con gli stessi sintomi e più confusa di prima ma più positiva e più consapevole della mia fortuna]

10 commenti:

Perline e bottoni ha detto...

Mi è capitato di leggere prima il tuo post successivo e ora mi trovo a leggere tutt'altro libro. Mi sento completamente solidale con le tue sensazioni. Capisco profondamente quali siano state le tue sensazioni. Quando la "testina" ha avuto un gravissimo incidente stradale e nonostante tutto sono stata in ospedale al suo capezzale per 4 mesi ho vissuto un mondo fatto di dolori, condivisioni, sofferenza, leggerezza, disponibilità, noia, etc. etc. Ma queste esperienze servono per ridare una giusta prospettiva e gerarchia alle cose. Mi auguro che riesca a trovare la causa dei tuoi malesseri e che tu possa riderci su. Abbracci.

mAtilda ha detto...

cara,
anche io ho letto prima l'altro post.
oggi siamo gemelle,
mi par di vedermi... stessi sintomi e stesse considerazioni. una settimana d'ospedale, vertigini e capogiri... una settimana in hospital a cazzeggiar...
era una labirintite...
bacioni baciotti

la.daridari ha detto...

gli esseri umani a volte sono stupidi: sanno provare compassione ed essere solidali con gli altri solo nelle situazioni tristi. Forse è questo il lato positivo della sofferenza: quella di scoprire la dimensione umana di ciascuno di noi, fragile e forte nello stesso tempo.
Questo tuo post mi regala una perla di saggezza e una raggio di luce in questo periodo così confuso anche per me (ho appena avuto un secondo aborto, non ho figli e mi chiedo se mai ne avrò). Posso dirti solo che gioisco con te per quello che hai, e spero tu faccia lo stesso per me.
Daria

valentina ha detto...

anche io ho letto prima il post precedente..mi spiace...effettivamente in questi luoghi di sofferenza capisci quanto sei fortunata e quanto la tua "piccola"vita sia in realtà grande!
Grazie per questa riflessione..
un abbraccio

Fastidiosa ha detto...

...passare per ospedali significa toccare il dolore con mano...
leggendo ho sofferto e sperato per le persone di cui hai raccontato. Non c'entra il buonismo, l'empatia e la sensibilità sono caratteristiche delle persone, e per fortuna che ci sono.
Ti mando un abbraccio e un augurio dal cuore.
L.

Federica ha detto...

Due anni fa sono stata una settimana in ospedale per la mia bimba di un mese.Ospedale pediatrico.Noi eravamo lì per qualcosa che poi si è rivelato una sciocchezza, e lo dico oggi che ho il cuore più leggero...
Il dolore, la sofferenza sono pesi enormi da portare, per tutti.Figuriamoci quando di mezzo ci sono dei bambini.Io ho conosciuto madri coraggiose che lottavano ogni attimo nonostante avessero figli in condizioni disperate.Ho conosciuto madri che pur avendo perso un figlio hanno messo il loro dolore a disposizione per dare un sostegno ad altre madri.Donne con la d maiuscola, di una forza disarmante.
Sono uscita diversa.Grata per la mia piccola vita perfetta.
Ho conosciuto anche il dolore diretto, provato sulla propria pelle.Pochi giorni prima di natale è morta mia nonna, dopo aver lottato due anni contro il cancro.Due anni di agonia.Era anziana, ma era mia nonna.E non si è fatta un giorno di ospedale.
Il dolore in certi posti sembra più potente perchè lì si concentra, ma ti assicuro che anche vissuto tra quattro mura non è meno dirompente.
Spero che adesso tu stia meglio.
Ti abbraccio.F.

DIANA ha detto...

non sono una con tante parole da scrivere..mi sono sentita molto vicina a te e alle persone e perdonami se amo quella piccola foto di madonnina dell'ospedale,mi da sempre una bella sensazione,pur non essendo io fanatica o feticista..spero che tu ti senta meglio,ma i giramenti di testa li abbiamo in troppi in questo periodo..

silvia ha detto...

E benvenga il buonismo in situazioni come quelle che descrivi tu quando anche solo una parola dolce o un sorriso danno molto più di tante sterili medicine. L'umanità è la nostra grande risorsa e l'amore per un prossimo estraneo che a volte diventa così vicino è un qualcosa che ci eleva ...
Ho visto morire il mio papà, meno di tre mesi fa, in una corsia d'ospedale e il tuo post mi ha fatto un grande effetto.
Spero con tutto il cuore, davvero, che tu stia bene, meglio possibile e prima possibile, ti abbraccio forte.

Roberta Filava ha detto...

..ero su FB e stavo per scriverti..per rispondere alla tua mail...ma che mi combini bella e dolcissima Eniko? avevi proprio bisogno di fare una tale esperienza? una di quelle esperienze che io immagino sempre e che allontano da me appena posso dai miei pensieri..ma mi serve per riequilbrarmi, per vedere la propria vita da un'altro punto di vista esattamente come è capitato a te..ho perso un'amica l'anno scorso e sento dentro ancora un dolore immenso per il calvario che ha vissuto..mi ci sono ammalata al solo pensiero ed ora che lei non è più qui mi rendo sempre più conto di quanto la vita sia un soffio e ogni istante deve essere vissuta per quello che è..tu hai tutto per viverla serenamente se solo ti scaricassi di quella responsabilità di cui ti fai carico ma che fa parte del tuo ruolo e devi viverlo e devi trasmettere ai tuoi figli e a l tuo compagno forza e determinazione..le malattie immaginarie o passeggere ce le dobbiamo curare da sole anche solo per evitare di rattristarci fra camici bianchi e persone più sfortunate di noi.
stai sù e vieni a passeggiare con me sul mare..
ti abbraccio forte ora vado su FB a rispondere alla ta mail..
bacioni..ti chiamo..voglio sentire la tua voce..
roberta

Lena ha detto...

Ciao...ti seguo da un pò...stasera sono stata attratta da quel CAPITOLO PRIMO...ho cliccato, ho letto tutto di un fiato. Ho trovato tante similitudini. Calvino,Kafka e ospedale. Ad aprile ho vissuto per una decina di giorni in ospedale. Per mia madre. Capisco e "sento" ogni parola che hai usato...arriva a me trasformandosi nelle emozioni che ho provato.
E non è buonismo...solo chi ha vissuto esperienze simili può capire e quella frase che hai trovato ora è diventata il mio motto, il mio mantra.
grazie. Felice di averti trovata, ora ancor di più. Ciao.

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